Come ormai tutti sappiamo, la riforma
costituzionale del Titolo V, approvata dal Parlamento italiano nel
2001, ha assegnato le materie del turismo alle Regioni.
Si è voluto, in questo modo, dare un
forte ruolo a quella Istituzione – la Regione – che meglio
rappresenta la destinazione turistica anche in un'ottica di mercato,
secondo quanto viene, spesso, percepito dal turista.
Possiamo comunque notare, dopo alcuni
anni dalla riforma costituzionale, che da allora le diverse Regioni
si sono date norme, strutture e risorse nell'attività promozionale,
nell'organizzazione dell'accoglienza e nella definizione qualitativa
delle strutture ricettive (es. “stelle”) secondo criteri
dissimili. Abbiamo, quindi, assistito in Italia non solo ad una
naturale concorrenza tra territori, ma anche ad una concorrenza
influenzata dalla capacità di creare un sistema locale regionale più
o meno efficiente.
Allo stesso tempo, quasi in
contemporanea, abbiamo visto un forte depotenziamento dell'ENIT,
l'ente nazionale di promozione turistica, e non, invece, una sua
necessaria riorganizzazione secondo nuovi parametri organizzativi e
promozionali. Così il "Made in Italy" del turismo è stato
pressoché sostituito dalla galassia delle varie regioni, che in modo
non coordinato, si sono poste sul mercato internazionale con criteri
per lo più dissimili e con strategie spesso configgenti. Di
conseguenza la stessa ENIT ha assunto un ruolo, molte volte non
qualificante, di mero organizzatore di spazi fieristici
internazionali da rivendere alle Regioni ed ai privati, o di
elaboratore di liste di tour operator e di giornalisti.
Nell'ultimo decennio non abbiamo avuto,
quindi, una vera e propria politica nazionale del turismo, ma
un aggregato, spesso non costante, di attività regionali mal
coordinate fra loro. La stessa critica che le Regioni hanno mosso al
loro interno ai territori ed ai loro prodotti, potrebbe essere
riportata al sistema promozionale italiano: mancanza di
coordinamento, auto-referenzialità , spreco di denaro pubblico a
causa di iniziative frammentate, ripetitive e non programmate a
livello di Paese.
Non voglio soffermarmi sugli sprechi a
livello nazionale; ne è emblema l'investimento costosissimo del
portale
Italia.it, passato ormai alla
cronaca! Quello che voglio far
notare è che il federalismo regionalistico nell'ambito della
promozione turistica può aver una sua valenza positiva per quei
mercati storicamente fidelizzati e che conoscono bene l'Italia. In
Germania, ad esempio, ha senso parlare di Toscana e di Sicilia, di
Dolomiti e di costa Adriatica. Anzi, spesso, in quei paesi che ben ci
conoscono, il concetto di destinazione/prodotto non coincide neppure
con i limiti amministrativi di un territorio. Per paradosso vorrei
far notare che dove vi e' un turismo informato dell'Italia, la
concorrenza dei territori dentro un unicum regionale è evidente.
Andare a Firenze o a Siena o a Pisa per un turista inglese o tedesco
è quasi sempre una scelta e non un caso!
Opposta è, invece, la situazione per
quei "nuovi" mercati che si affacciano all'offerta
mondiale! In Cina, ad esempio, la competizione non e' tra Italia o
Spagna, tra Grecia o Inghilterra , ma tra Europa e Stati Uniti! È
assurdo pertanto, pure per i territori a forte immagine come è ad
esempio la Toscana, muoversi in questi casi a livello regionale. Il
tour operator cinese si orienta, oggi, su un tour dell'Europa o, se
va bene, del Paese nazione.
Detto questo si deve allora pensare che
"l'e' tutto sbagliato, tutto da rifare"?
No! Anche il turismo è una scienza
complessa che nelle nuove situazioni riesce a trovare nuovi approcci:
in un mercato internazionale più complesso occorre operare con
adeguati interventi promozionali più complessi di prima! Cioè
conoscendo i “mercati obiettivo”, le loro esigenze, la loro
conoscenza del territorio e muovendosi secondo strategie
consequenziali.
Ma per ora mi limito a dare solamente
questi accenni.
Carlo Bartolini